
Quando sentiamo parlare di trauma, che dal greco significa “ferita”, generalmente siamo indotti a pensare ad eventi che provocano danni fisici alla persona che ha subito una qualche forma di incidente, come ferite importanti, fratture, ustioni, circostanze che possono avvenire nella propria abitazione o all’esterno come incidenti stradali, aggressioni, rapine. Quasi mai ci soffermiamo a pensare a quali conseguenze psicologiche derivino da tali eventi.
Al Disturbo post-traumatico da stress, alla sua diagnosi e alla sua terapia, è stato dedicato un simposio che ha visto la partecipazione di molti medici e che si è svolto alla Casa di cura Città di Parma. Relatori dell’incontro Franco Marzullo, specialista in psichiatria della Città di Parma, e Maria Teresa Gaggiotti, psicologa e psicoterapeuta dell’Ausl di Parma.
«La gran parte di persone che subiscono un trauma fisico, se non riportano conseguenze definitive o disabilità, dimenticano l’accaduto o ne parlano con disinvoltura – spiega Marzullo – Statisticamente una persona su cento invece riporta un trauma psicologico che non riesce a superare per mesi o anni. Tra questi le donne hanno una prevalenza doppia dei maschi e le donne che hanno subito violenze sessuali incorrono nel 50% dei casi in un trauma psicologico persistente».
Una condizione definita dal 1980 Disturbo post traumatico da stress, PTSD. É quello che ha colpito molte persone durante la pandemia. «I sopravvissuti al Covid per giorni, settimane, a volte mesi, hanno temuto di morire e non hanno potuto vedere i familiari – dice a Maria Teresa Gaggiotti – E pensiamo al trauma dei familiari che non hanno potuto salutare i loro congiunti morti in ospedale. Ma il trauma psicologico è anche nei soccorritori, che assistono ai drammi appena accaduti o che devono vivere quelli che ancora stanno accadendo. Nella pandemia gli operatori sanitari hanno dovuto improvvisamente far fronte agli arrivi massicci di persone ammalate, che avrebbero potuto morire o per le quali non vi era più speranza».
Tantissime quindi sono le situazioni nelle quali si può subire un trauma psicologico indelebile. Tra queste purtroppo anche le violenze domestiche. «Spesso ciò che si viene a conoscere è solo la punta dell’iceberg, cioè quando si ha il coraggio di sporgere denuncia – dice Marzullo – Molte donne che non denunciano sono sottoposte a violenze fisiche da parte del partner, torture psicologiche, stalking. Le tragedie familiari frequentemente coinvolgono i figli, che subiscono violenza o assistono ai litigi violenti e portano con se fino all’età adulta i ricordi di ciò che hanno subito o visto».
E cosa accade a chi non riesce psicologicamente a superare il trauma? «Frequentemente il soggetto ha ricordi spiacevoli dell’evento traumatico, può percepire immagini o addirittura rivivere come attuale l’evento in una condizione definita “flashback”. Quando i ricordi si ripresentano si possono avere reazioni fisiologiche come sudorazione, palpitazione, capogiri – spiega Marzullo – L’evitamento è uno dei sintomi più comuni: il soggetto cerca di evitare pensieri, ricordi, sentimenti, attività, situazioni, persone e luoghi collegabili al trauma, cercando di trovare modi per distrarsi. In casi estremi si cerca di annegare le sofferenze psicologiche ricorrendo all’alcol, non riuscendo più a condurre la vita precedente. Molti soggetti, soprattutto le donne che hanno subito violenza sessuale, non riescono a ricordare qualche aspetto del momento traumatico, entrano in uno stato di depressione, si convincono di essere cattive, si sentono in colpa, vivono in un costante stato di ansia, insonnia, paura, rabbia, vergogna, difficoltà di concentrazione, si allontanano dagli altri, non provano più felicità, soddisfazioni, amore. Ci possono essere irritabilità ed esplosioni di rabbia, comportamenti spericolati alla guida, ipervigilanza ed esagerate risposte d’allarme, senso di depersonalizzazione, come se si fosse distaccati dal proprio corpo, o di derealizzazione, come se il mondo intorno fosse incomprensibile».
Come affrontare il Disturbo post traumatico da stress?
«Le persone che si rivolgono ai medici per la cura di questo disturbo non devono ricevere risposte superficiali ed affrettate: è fondamentale un’accoglienza partecipe e l’attento ascolto dei bisogni e dell’intensità della sofferenza – dice Gaggiotti – Diversi sono gli orientamenti psicoterapici: alcuni terapeuti utilizzano tecniche cognitivo comportamentali come quelle focalizzate sul trauma, o quelle di esposizione prolungata, oppure quelle in gruppo. Molti pazienti però temono di rivivere l’esperienza traumatica con eccessiva sofferenza ed allora possono rivolgersi a terapeuti psicodinamici, con i quali si può effettuare l’analisi dei meccanismi di difesa, delle relazioni passate, dei meccanismi inconsci. Tecniche più recenti sono l’Emdr, durante la quale il terapeuta utilizza differenti forme di stimolazione bilaterale (la più utilizzata è il movimento laterale degli occhi) e chiede al paziente di rievocare il ricordo traumatico, e la mindfulness che esorta il paziente ad una maggiore consapevolezza di sé».
La prescrizione di farmaci è necessaria solo se i sintomi depressivi, l’ansia, l’insonnia, ed i pensieri pessimistici ed autosoppressivi diventano insopportabili. In tal caso lo specialista psichiatra utilizzerà farmaci antidepressivi serotoninergici ed eventualmente ansiolitici.